lettura psicanalitica

 

 

 
 
 
 

RIFLESSIONI DOPO LA LETTURA DEL LIBRO  “LA SPERANZA NON DELUDE” DI LUIGI GINAMI

 

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 Vedi parte della relazione sul canale you tube di Santina: http://www.youtube.com/watch?v=HLhuWN85E-0

 

 
 
 

 

 
 

Lettura del brano LA PIETRA DELLA GIOIA pp.253-256

 
 

 

L’esperienza vissuta da don Luigi e Santina sulla “pietra della gioia” a Betlemme riassume in sé alcune riflessioni suscitate in me dalla lettura del libro.

 

1             Innanzitutto il luogo dove avviene questa esperienza: la grotta dove è nato Gesù.

La grotta è stata anche la prima immagine del testo che mi ha colpito perché me la sono vista subito davanti,mentre osservavo le fotografie allegate. C’è infatti una foto che ritrae Santina a Lourdes: non so se è stata fatta appositamente oppure se è nata così per caso (!?!),ma se la si guarda bene sembra ci siano due grotte,all’interno delle quali ci sono due mamme.

Ciò mi ha portato a riflettere sul significato simbolico di tale immagine e così sono andato a sfogliare il DIZIONARIO DEI SIMBOLI di Chevalier Gheerbrant (ed.BUR) dove ho trovato quanto segue:“Archetipo dell’utero materno,la grotta è presente in tutti i miti di origine,di rinascita e di iniziazione di numerosi popoli…numerose cerimonie di iniziazione cominciano con il passaggio in una grotta che diventa il regressus ad uterum ci cui parla MIrcea Eliade… Accanto a questa interpretazione vi è l’altro valore simbolico della grotta che è anche il suo lato più tragico: l’antro,la cavità oscura, l’abisso spaventoso da cui emergono i mostri, è anche un simbolo dell’inconscio e dei suoi pericoli,spesso imprevisti…la grotta è considerata anche come un gigantesco ricettacolo di energia nascosta che fa comunicare l’uomo con le potenze oscure della morte e della germinazione. Nell’Estremo Oriente, la grotta è simbolo del mondo,il luogo della nascita e della iniziazione, l’immagine del centro e del cuore. Entrare nella grotta significa quindi far ritorno alle origini e salire al cielo,uscire dal cosmo. La grotta è il luogo di passaggio dalla terra al cielo: Gesù non solo è nato in una grotta,ma vi è stato anche sepolto,durante la discesa agli inferi,prima di ascendere al cielo…la grotta rappresenta simbolicamente il luogo dell’identificazione,vale a dire il processo di interiorizzazione psicologica,per cui l’individuo diventa se stesso e raggiunge la maturità”. Tutto questo ci fa riflettere circa il percorso evolutivo che sta percorrendo don Luigi,sostenuto da una madre generante e propositiva che spinge il proprio figlio verso l’essenziale,quell’essenziale che,secondo il cardinal Martini, a volte viene chiesto da Dio,anche senza preavviso.La grotta dunque è immagine eloquente di un vissuto dinamico che sta muovendosi intorno a questa storia di vita. “Un’immagine vale più di mille parole”, come ha scritto quel grande studioso del linguaggio simbolico che è stato Bachelard.

 

2.            La seconda riflessione prende avvio dalla farse scritta sulla roccia piena di luce di Betlemme; “Hic Verbum caro factum est”: qui ha iniziato a pulsare il cuore di Dio. Questo cuore che,pulsando, irradia vita e amore, ci riporta all’inizio di tutta questa bellissima storia: il cuore di mamma Santina che cessa di pulsare per un attimo, per poi riprendere pian piano diffondendo attorno a sé come una sinfonia di pulsazioni cardiache: da quella dei medici a quelle dei figli,nipoti,parenti e amici fino a catturare i cuori di tutte le persone che condividono con lei questa esperienza. E il cuore diventa protagonista e  filo conduttore di tutto il libro: è il cuore che parla a don Luigi quando,risalendo i ripidi gradini della pietra della gioia,viene raggiunto dal sorriso di Santina che lo riporta immediatamente ad ascoltare il  suo cuore che gli fa dire: “Ma sono cretino? Abbiamo superato pericoli e perplessità per giungere qui e ora la lascio sulla porta?Ma cosa sto facendo? Lei deve scendere”, e più avanti aggiunge “non lascio spazio ad altre riflessioni e con l’impeto della passione…”,cioè dando ascolto solo al cuore.E’ il cuore e non la ragione che permette di realizzare quello che appare difficile e,a volte,impossibile. In terapia si guarisce non con i ragionamenti ma attraverso una relazione affettiva, cioè attraverso l’incontro di due cuori.

Il comportamento di don Luigi spesso appare, a dir poco, “spregiudicato”: basta leggere,oltre l’esperienza vissuta a Gerusalemme, quella della Via Crucis a Lourdes,le disavventure in territorio polacco, la visita a Venezia. Ma il cuore non sbaglia mai; a volte siamo noi che sbagliamo a non dargli ascolto.  E’ il cuore che ci apre all’altro ed è dai suggerimenti che ci dona il cuore che nascono le esperienze di vita più ricche e sostanziali.Il  quotidiano Il Giorno del 14 novembre 2008 riportava la notizia che la Corte di Cassazione ha autorizzato l’interruzione della nutrizione per Eluana, la ragazza di Lecco in coma da 17 anni. Mi ha colpito la lettera che il condirettore del giornale, Canè, ha indirizzato al padre della ragazza: “ …da oggi non legga più nulla,non ascolti più nessuno. Consigli,prese di posizione,appelli. Chiuso. Chiuda tutto. Chiuda occhi,orecchie,bocca. Apra solo una cosa: il suo cuore….perchè solo questo possiamo dirle nel rispetto,comunque, della sua volontà: la sentenza della Cassazione non sancisce un obbligo, offre una possibilità. E il tempo di riflettere,di valutare. Di guardare ancora una volta la sua ragazza senza vita che vive ancora. E di decidere se sia più buia la morte, o una vita senza di lei”.

 

3.            Una terza riflessione nasce nell’incontrare il cuore di don Luigi che, senza alcun rispetto umano,ci parla dei suoi sentimenti più personali e profondi, senza nulla nasconderci: paura,timori,gioie,solitudine,abbandono da parte di alcune persone che credeva amici… E’ raro trovare una persona, e soprattutto un sacerdote,parlare così, con “il cuore in mano”, un cuore che ci invita ad interrogare la vita fino a giungere a scoprire che dietro la paura, lo spavento,le lacrime e il sangue vi è il sorriso di Dio. Santina e don Luigi ce lo ricordano nel testamento spirituale, deposto sulla pietra del Santo Sepolcro: “vi abbiamo raccontato il cuore”. Raccontare il cuore significa raccontare la speranza,così come si esprime il martire vietnamita Paolo Le-Bao-Thin,citato da papa Benedetto XVI nella Spe Salvi: “Mentre infuria la tempesta getto l’ancora fino al trono di Dio,speranza viva,che è nel mio cuore”.Questo “racconto del cuore”, che ci parla del cuore di Santina e di don Luigi, alimenta la speranza  e non può che far del bene perché oggi molta sofferenza, soprattutto psichica, nasce perché non si ha più speranza.Le persone che accolgo ogni giorno nel mio studio di psicoterapeuta, soffrono perché hanno perso la speranza, cioè il senso della vita, e cercano disperatamente la strada per ritrovarla. A volte è una strada irta di difficoltà perché,nella loro esistenza,non hanno mai incontrato  uomini portatori di speranza.Un’altra riflessione viene sollecitata da una frase di don Luigi laddove, a pag. 361 del testo,parlando del bilancio della nuova esistenza di Santina e in particolare della sofferenza, scrive: “ questo rimane per me ancora un mistero”. Mi viene spontaneo ricordare all’autore che probabilmente quell’ “ancora”  ( il vocabolario ci ricorda che è un avverbio di tempo che indica la persistenza di un’azione o di uno stato…) durerà a lungo e forse per tutta la vita.Lo ricorda il card.Martini nell’introduzione al libro e lo sostiene anche Jung nel suo libro “Risposta a Giobbe”, quando afferma che “il dolore di Giobbe non finisce mai e si moltiplica milioni di volte”.

 

4.            Durante la lettura sono affiorati alla  mia memoria due episodi che  mi hanno coinvolto emotivamente in questo “mistero” della sofferenza umana:

il primo riguarda un viaggio a Fatima avvenuto nel 1991 dove ho accompagnato un gruppo di giovani come psicologo. I sacrifici che Dio e la Madonna chiedevano ai tre fanciulli hanno fatto riemergere in me domande e interrogativi che mi accompagnano da sempre mentre svolgo il mio lavoro, soprattutto quando accosto la sofferenza di bambini e adolescenti. Mentre ero a Fatima ho chiesto più volte la grazia di capire il perché di tutta questa sofferenza. Durante il viaggio di ritorno ho vissuto un’esperienza particolare: mentre ero in una piccola cappella di un collegio che ci ospitava per la notte a Nimes, guardando il grande Crocifisso sull’altare, mi è parso di intuire la risposta. Mi sono anche detto: “era così semplice, come ho fatto a non arrivarci prima?”. Mentre salivo in camera per scrivere quanto avevo intuito,sono stato chiamato a dare una mano in cucina e così l’intuizione è svanita…è vero però che da quel momento è come se accostassi la sofferenza, soprattutto quella dei più piccoli,più serenamente. Ringrazio il Signore per questo dono.

Il secondo è stato suscitato in me dall’esperienza vissuta dalla sorella di don Luigi, Maria Carolina che “entra in terapia intensiva dove prima aveva paura ad entrare”.L’anno scorso sono stato a trovare un giovane che, a seguito di un aneurisma, era in terapia intensiva. Appena arrivato, sua madre mi ha chiesto di entrare nella saletta sterile. Mentre vestivo la veste sterilizzata ho vissuto emozioni indescrivibili che mi hanno accompagnato durante tutta la visita. E’ un’esperienza che ti tocca nel profondo del cuore e ti cambia dentro. Dalla mia esperienza terapeutica sento di poter affermare che la sofferenza e il dolore sono parte integrante dell’esperienza umana e portano sempre con sé, se “elaborati” nel cuore e nella mente, una crescita antropologica ed una visione più completa della vita e del suo significato.“La sofferenza di mia madre mi ha aperto gli occhi alla sofferenza degli altri”, afferma don Luigi nel libro. Mi torna alla mente quanto affermava don  Carlo Gnocchi nel libro “La pedagogia del dolore innocente” e cioè che “il dolore ha un grande potere sul cuore di Dio, di cui bisogna avvalersi a vantaggio degli altri”. 

 

5.            Importante rilievo psicologico riveste il piccolo foglio ingiallito  il cui contenuto è riportato a pagina 141,che contiene la storia della vocazione di don Luigi  “prima ancora che io potessi rispondere di si, prima ancora che venissi alla luce”,.Jung era fermamente convinto che ciascun uomo nasce già “vocatus” (= chiamato a realizzare il proprio sé) e che, spesso, l’uomo è insoddisfatto della propria vita proprio perché non realizza il proprio sé,cioè la propria vocazione. Lo psicologo svizzero arriva persino ad affermare con convinzione che molti sintomi nevrotici e psicotici non sono altro che segnali inviati all’individuo perché possa ritrovare la sua strada:“Ogni vita non vissuta rappresenta un potere distruttore e irresistibile,che opera in modo silenzioso, ma spietato” (Opere,10-1) e ancora : “Se l’uomo non presta attenzione ai simbolici avvenimenti che gli accadono, dovrà pagare in altri modi” (Jung parla:interviste ed incontri).L’ultima riflessione è sulla pedagogia cristiana presente nel testo : il libro ne è intessuto dall’inizio alla fine e ci conferma come la crescita antropologica  e spirituale di don Luigi e di sua sorella Maria Carolina sia avvenuta grazie all’esempio e agli insegnamenti della loro mamma Santina. I quadretti di vita famigliare in cui questa pedagogia rivela la sua profondità sono numerosi: “Come dimenticare due bambini piccoli nei loro pigiamini in ginocchio con la loro mamma appoggiati al grande letto matrimoniale,dove dormono tutti e tre, recitare le preghiere della sera in una stanza rischiarata dal piccolo lumicino al quadro della Madonna?” (Lettera indirizzata alla madre da don Luigi nel giorno della sua ordinazione sacerdotale).“ Con mamma guardavamo il sole tramontare e dicevo: “Guarda che bello,Santina. Ma se Dio ha fatto così bello il sole,chissà quanto è bello Lui!”. Questa frase non è mia,ma era un discorso che mia madre era solita farmi quando ero piccolo e mi insegnava ad amare Dio.Allora il discorso continuava più o meno così:”Mamma,ma dov’è Dio?”. Lei rispondeva con un grande sorriso…”Forse nel sole, prova a guardarlo per un momento e dovrai togliere la vista,così è Dio, la sua vista ti acceca…non lo puoi vedere,è troppo grande per noi!”.Questo era il secondo passaggio dei nostri discorsi teologici,quando avevo tre o quattro anni”. (Marina di Massa, 27  dicembre 2007)“Mamma mi guarda con il  suo sguardo buono e mi dà una carezza,mi fa un segno di croce sulla fronte,sulle labbra e sul petto in un rito divenuto ormai tradizione”.(Via Crucis a Lourdes, dodicesima stazione)

 

6.            Santina si rivela una preparata e acuta pedagogista che sa coinvolgere i propri figli partendo dalla quotidianità per elevarli a respirare concetti sempre più alti. I risultati si vedono!!! Dice la psicologia che il bambino alla nascita, non è,come si presume una tabula rasa. Nasce come organismo altamente complesso,con determinanti già esistenti,che non verranno mai meno e che gli conferiscono il carattere. Fin dai primi mesi di vita del bambino una mamma  equilibrata sa riconoscere l’individualità del proprio bambino che si coglie dalle attività infantili,nel modo di giocare…Nei casi di nevrosi infantili noi psicologi risaliamo ai genitori e osserviamo come sono loro perché i bambini vivono immersi nell’atmosfera psichica dei genitori,sono impregnati dell’atmosfera paterna e materna. E’ sempre una situazione conchiusa: abbiamo un padre,una madre,un figlio. Abbiamo l’antefatto,lo sviluppo ed il finale.Questa è una mamma che ha saputo cogliere l’individualità del figlio,indirizzandolo così sulla strada migliore e più naturale per lui. L’ha fatto, dopo essere rimasta vedova,sostenuta dall’amore che porta dentro di sé e che ha saputo alimentare all’unica e vera sorgente dell’Amore: il cuore di Dio.

 

7.            Conclusioni Ho avuto la grande fortuna di incontrare,durante un viaggio in India, Madre Teresa e stare un po’ di tempo con lei.Mi ha regalato un bigliettino con su disegnato un piccolo bambino che dorme felice e sereno rannicchiato su di una grande mano: “Sei tu sulla mano di Dio…” “per Dio,tu sei unico e prezioso”.A tal punto siamo stati convinti dalla moderna società di come sia insignificante una singola vita umana e la storia recente ha dimostrato come le vite umane non contino nulla. Ma ogni individuo è depositario della vita: ciascuno di noi è una scintilla originale e irripetibile della vita. Questo libro ci aiuta a ricordare questa realtà e sa donare veramente la speranza che ogni vita è importante e che nulla va perduto. Grazie dunque a questa mamma e grazie a don Luigi per il coraggio avuto nel  condividere con noi i suoi vissuti più intimi. Jung, parlando della sofferenza,ha scritto:“Vengo ora dall’India. Lì ho riscoperto questo: l’uomo deve riuscire ad affrontare il problema della sofferenza. L’uomo orientale vuole sbarazzarsi della sofferenza,togliendosela di dosso. L’uomo occidentale tenta di reprimere la sofferenza per mezzo di droghe.Ma la sofferenza deve essere superata,ed è superata solo sopportandola (= “accogliendola” specifichiamo noi con le parole del cardinal Martini). Questo lo impariamo solo da Lui”, Così dicendo Jung indicò l’immagine del Crocifisso.

 

 

  

 

Roccia del mio cuore e’ Dio  

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Tetto Fraterno Carpesino d’Erba16 Giugno 2007  

 

OGNI TERAPIA È SOLO PARZIALE, LA VERA GUARIGIONE È INCONTRARE DIO.

DOTTOR. GIUSEPPE FOJENI

 

 

Devo la conoscenza e la lettura del libro di don Luigi “Roccia del mio cuore è Dio” al dono natalizio di un amico: è stato un incontro coinvolgente e ricco di spunti di riflessione per un operatore come me, che da anni si occupa del mistero racchiuso nell’animo umano.Con semplicità, ma anche con molto coraggio, don Luigi condivide con noi un’esperienza di vita e di sofferenza che l’ha coinvolto in profondità, senza alcun pudore nel raccontarci le emozioni (sia di paura sia di gioia) provate nell’accompagnare sua madre Santina ad affrontare un difficile intervento chirurgico al cuore e la successiva lunga degenza in Terapia Intensiva.Mi sembra di aver colto nel “racconto” di don Luigi alcune dinamiche psicologiche che rendono questo testo ancora più prezioso:

·        la presenza di un linguaggio simbolico che sa muovere dinamismi dal profondo;

·        una correlazione tra fatti interiori ed esteriori che sfuggono ad una spiegazione causale,  fenomeno definito da Jung “sincronicità”;

·        una relazione madre – figlio costruttiva;

·        l’efficacia del “bene-dire” sull’uomo considerato nella sua essenzialità corporea,psichica e spirituale;

·        la presenza del triplice dinamismo  attraverso il quale l’essere umano si esprime; 

A.       La presenza di un linguaggio simbolico che sa muovere dinamismi del profondo

 Lavorando con bambini ed adulti in psicoterapia posso toccare con mano, quotidianamente, la ricchezza insita nel linguaggio simbolico che, mediato dalla facoltà mentale dell’immaginazione,permette di offrire un aiuto alle persone in difficoltà, perché possano ritrovare il proprio equilibrio. Il “linguaggio dimenticato”, come lo definisce E. Fromm, porta importanti messaggi al conscio e all’inconscio dell’uomo circa i problemi e i conflitti fondamentali della natura umana quali l’amore, l’odio,il bisogno di sicurezza, il senso della vita,della sofferenza e della morte. Dire che viviamo in un mondo di simboli è poco:un mondo di simboli vive in noi.Numerose sono le immagini simboliche che attraversano il  “racconto” di don Luigi: c’è innanzitutto l’immagine della “roccia” che ci è posta dinnanzi già nel titolo , ma che poi riappare lungo tutto lo svolgimento del “racconto” attraverso i luoghi sacri di Gerusalemme (tutti costruiti sulla roccia…),sulla pietra circolare del Tempio del Cielo a Pechino,durante l’elaborazione (simbolica!?!) della nascita del Salmo di Asaf dove l’Autore ricerca e costruisce, ciò che significa per lui l’espressione “roccia del mio cuore è Dio”.Questa immagine trova il suo culmine nel desiderio di don Luigi di diventare lui stesso “roccia e riferimento per altri nell’andare verso il Signore”.Un’altra immagine riempie lo scorrere della narrazione, quella del cuore. Mentre leggevo mi è sembrato di cogliere una sinfonia di pulsazioni cardiache: il cuore di mamma Santina chiama a pulsare con sè i cuori di tutti coloro che le stanno accanto, dai figli e nipoti  agli amici, dai medici e dal personale sanitario a quello di tutte le persone che hanno condiviso con lei questa esperienza.L’immagine più possente rimane quella del “cuore aperto” di mamma Santina offerto alla contemplazione del proprio figlio: leggendo sembra di essere presente e di cogliere la sacralità di una liturgia che non si svolge in chiesa bensì in una camera operatoria.Altre immagini, magari appena accennate ma a loro volta dense di significato sono quelle del calice forgiato con gli anelli nuziali dei genitori a significare fortemente l’azione di contenimento, di “mettere insieme” diversi frammenti di vita per armonizzarli e trasformarli in una nuova vita nuova foriera di armonia e unità. La stessa città di Gerusalemme assurge a significato simbolico: ce lo ricorda con maestria nell’introduzione Rula Jebreal quando parla della capacità insita nella città di trasmettere a tutti ,indipendentemente dalla propria cultura e religione, il mistero legato alla vita e alla morte. Ben lo sanno coloro che hanno avuto la fortuna di viverci o anche solo di calpestare le sue strade.Quale immagine meglio della traversata del Mar Rosso ci aiuta a comprendere più a fondo il vissuto emotivo dei protagonisti di questo racconto?Anche la copia del Nuovo Testamento in greco dove si trovano appunti e messaggi lasciati da mamma Santina e dagli amici diventa immagine simbolica di una condivisione di pensieri ed affetti tenuti assieme dal testo sacro.Grazie a queste immagini simboliche don Luigi ci coinvolge nella sua esperienza. “Un’immagine vale più di mille parole”, ha scritto G. Bachelard, grande studioso di questo linguaggio e ancora “ogni simbolo  stimola e permette l’evoluzione dell’uomo sul piano coscienziale” (Jung): ecco perché il linguaggio utilizzato in questo testo appare denso di significato e importante per la crescita del lettore. 

B.      Una correlazione tra fatti interiori ed esteriori che sfuggono ad una spiegazione causale,  fenomeno definito da Jung “sincronicità

  Una delle intuizioni profonde di Jung riguarda il fenomeno detto della “sincronicità”:Egli arrivò a definire la sincronicità una “coincidenza significativa”, dove per coincidenza si intende una sequenza insolita di avvenimenti simultanei in qualche misura collegati tra di loro mentre per significativo si vuole intendere qualcosa che è importante per via di certi nostri valori – ha un significato perché ai nostri occhi è prezioso- o che qualcosa ha avuto un effetto significativo su di noi e che dunque significa qualcosa perché ha fortemente influenzato la nostra esistenza.Jung osserva che l’insolito confluire di eventi,da lui battezzato come “sincronicità”, quasi sempre possiede tre distinte caratteristiche, a cui ne è stata aggiunta una quarta dagli studiosi junghiani:

·        in primo luogo essi sono collegati in modo acausale, e non grazie ad una catena di cause ed effetti in cui un individuo possa riconoscere il frutto di una decisione intenzionale;

·        in secondo luogo il loro verificarsi è sempre accompagnato da una profonda esperienza emotiva, che solitamente si manifesta contemporaneamente all’evento;

·        in terzo luogo il contenuto dell’esperienza sincronistica, ciò che l’evento è,ha un carattere invariabilmente simbolico (= sta al posto di qualcos’altro…), che è quasi sempre legato al quarto;

·        in quarto luogo queste coincidenze si verificano in concomitanza con cambiamenti di vita importanti:molte volte un evento sincronistico segna una svolta nelle storie della nostra esistenza. Come non cogliere tali eventi disseminati  nel “racconto”:  la partecipazione all’operazione al cuore di mamma Santina fa ricordare a don Luigi  quella di un intervento operatorio al cranio a cui ha partecipato vent’anni prima, quando era giovane seminarista, a Roma. Nel raccontare l’esperienza vissuta in quella circostanza, è lo stesso don Luigi ad affermare “il Signore mi aveva già preparato vent’ anni fa” a vivere un’esperienza con una paziente di quell’ospedale, analoga a  quella  vissuta in questa circostanza con sua mamma.La lettera scritta alla mamma il giorno dell’ordinazione sacerdotale nella quale veniva quasi anticipato il mistero della sofferenza e  nella quale don Luigi chiedeva a sua madre di sostenerlo nella sofferenza, lei che si era mostrata sempre forte nell’affrontarla. Il viaggio a Gerusalemme, quello a Pechino e la serata trascorsa a Pietroburgo con la mamma si intrecciano con il bigliettino ritrovato a casa, incollato oggi sulla prima pagina della Bibbia di don Luigi. Mi sembra che anche l’intrecciarsi di storie di vita tra Roma e Gerusalemme indichino qualcosa di sincronico : la presenza del card. Martini, l’amicizia con Rula Jebreal, giornalista musulmana, il rimando, anche nelle lettere ad avvenimenti  e date che si rincorrono nel tempo  trasmettono una visione degli eventi come partecipanti a un tutto strutturato, a una forma di armonia esperienziale tra i fatti e la nostra comprensione degli stessi, che Jung chiama Se’, e che per il credente è la mano della Provvidenza. 

    

C.  Una relazione madre – figlio costruttiva

 Ogni storia individuale nasce da una madre, e alle spalle di molte personalità disturbate ci può essere una madre assente o inadeguata. Mamma Santina mostra sempre un atteggiamento  maieutico e generativo: oltre a partorire nella “carne” suo figlio, continua a partorirlo psicologicamente e spiritualmente.E’ una madre che “lascia andare” il proprio figlio mantenendo quella naturale distanza che permette a quest’ultimo di realizzare la propria vocazione e, nello stesso tempo, assicura la sua presenza discreta e “stimolante” sin dagli anni di seminario : è commovente la sua attenzione nel suggerire al figlio lontano di  mettersi un giornale sotto la camicia per ripararsi lo stomaco, e con quale franchezza e determinazione richiama il figlio al  rispetto delle disposizioni dei superiori circa l’abito ecclesiastico!Mamma Santina, nella sua semplicità e dignità di vedova che ha scelto di stare accanto ai propri figli per accompagnarli nel cammino della vita, riesce a far circolare attorno a sé serenità e armonia. Il suo sorriso si espande lungo tutte le pagine del “racconto” e rimane costante nonostante le difficoltà incontrate, generando nelle persone che lo incontrano, anche soltanto leggendo il libro, calore ed emozioni positive.E’ l’immagine di una madre che sa mettersi da parte di fronte al progetto di vita di suo figlio,che lascia trasparire la sua piena fiducia in Dio, al quale si abbandona con la certezza che la sua speranza non andrà delusa.  

  

 D.      L’efficacia del “bene-dire” sull’uomo considerato nella sua essenzialità corporea,psichica e spirituale

 Tutto il testo potrebbe essere definito un “Benedizionale” in quanto denso di parole di benedizione.Il “bene-dire” è considerato dalla psicologia un atteggiamento indispensabile e fondamentale per la formazione di una personalità sana. F. Dolto,  medico e psicanalista  francese, insiste in tutti i suoi scritti nell’invitare gli operatori socio-sanitari, gli educatori e i genitori ad utilizzare parole di vita e di gioia con tutti i bambini sin dai primi attimi di vita . Infatti dalla sua esperienza di pediatra e psicologa dell’infanzia, essa ha potuto prendere atto che quanto viene detto ai bambini,soprattutto se negativo, li segna profondamente. Per questo afferma con convinzione che “una benedizione,  per ogni essere umano è la garanzia di una certa sicurezza nella difficoltà,un punto di appoggio per la speranza quando si devono affrontare certe prove. La benedizione interessa profondamente il simbolismo dell’essere umano: per questo non è mai annullabile”.Pur nella sofferenza, don Luigi continuamente ringrazia (= benedice) chi gli sta accanto:medici, operatori sanitari, amici,parenti… riconoscendo le loro competenze e le loro attenzioni.Negli scritti di mamma Santina le parole di benedizione si sprecano e ben due volte lei stessa appare in atteggiamento benedicente verso suo figlio:  “dal profondo del mio cuore ti benedico”. Il suo sorriso, definito “ostinato”, “folgorante”, “dolce”, è sempre presente e giunge a fondersi con il sorriso di Dio, il sorriso che don Luigi/Asaf, scopre entrando nel suo Tempio: ”è un Dio che mi sorride il mio Dio. E’ un Dio Buono!”Il “bene-dire” che circola non è teorico perché viene percepito anche da chi condivide questa esperienza; ciò viene segnalato dal Prof.P.Ferrazzi nella Postfazione, quando egli esprime la convinzione che  il tema ricorrente di questo libro è la serenità. 

 

 

E. La presenza del triplice dinamismo  attraverso il quale l’essere umano si esprime

Nel testo mi sembra di poter cogliere altresì quel dinamismo psichico attraverso il quale ogni individuo può progredire nella realizzazione del proprio Se’.Il card. Martini lo ricorda a don Luigi nella sua lettera del 3 settembre 2005, quando scrive “l’importante è vivere ogni  momento con fede e speranza e amore”. Fede, speranza e amore sono appunto una delle immagini con le quali si può cogliere questo dinamismo umano che lo stesso card. Martini ha fatto suo da tanto tempo e che in una delle sue prime lettere pastorali alla Diocesi Ambrosiana aveva definito anche come esperienza del vedere,del giudicare e dell’agire. “E’ il vedere,giudicare, agire che ci hanno insegnato i Padri Conciliari” (Card. Martini, Il lembo del mantello).Il dinamismo del vedere ( = percorso sapienziale) si respira nella saggezza di questa madre che sa cogliere l’essenzialità della vita e trasmetterla ai propri figli, ma anche nelle riflessioni di don Luigi che prende spunto da tutti gli avvenimenti per interrogarsi sul “perché” di quello che sta accadendo.Il dinamismo del giudicare (= percorso profetico) lo si percepisce anche nella sofferenza con cui don Luigi accoglie il distacco di coloro che riteneva amici e che l’hanno abbandonato in questo momento per lui così doloroso.E’ presente anche in tutti i fatti accaduti prima dell’esperienza di sofferenza e che in un certo senso permettono oggi di esprimere un giudizio su quanto sta accadendo.Il dinamismo dell’ agire (= percorso celebrativo)  fa di tutto il racconto qualcosa di armonioso e costruttivo che coinvolge il lettore in una liturgia di vita, nonostante la sofferenza e il dolore rappresentati.Per tutto questo ritengo che il libro, pur nella sua semplicità del racconto trasmetta la sensazione di “tener insieme” tanti frammenti di vita  ricomponendoli in un crescendo dinamico che è evolutivo e produce armonia e serenità.Accade qualcosa  di simile quando, in psicoterapia, si ridà storia alla propria vita. Ciò mi porta ad affermare che questo libro è anche terapeutico per chi lo legge.Prima di concludere  vorrei accennare a un altro passo significativo presente nel testo e ricordato per due volte : la teca di metallo che don Luigi porta al collo , nella quale c’è “un pezzo di stoffa impregnato del suo sangue (=della mamma) sparso nel momento della malattia che ha colpito il suo cuore e il mio cuore”.Lo psicologo W.Winnicott ha introdotto nel linguaggio psicologico il concetto di “oggetto transizionale”, per indicare qualsiasi oggetto materiale, dal fazzoletto al pupazzo…) che ogni bambino vuole tenere accanto a sé, prima di addormentarsi o quando deve andare in un ambiente sconosciuto, come qualcosa di rassicurante che gli ricorda la presenza della madre. Tale fenomeno rientra nel normale sviluppo evolutivo di un individuo.L’oggetto transizionale può riapparire anche in particolari momenti dell’età adulta e comunque “costituisce la parte più importante dell’esperienza del bambino e il suo protrarsi nell’età adulta è alla base della successiva vita immaginativa” ( F. Dolto).Anche nelle sedute di psicoterapia,non di rado,le persone portano dai loro viaggi interiori degli oggetti immaginari “a ricordo” dell’esperienza vissuta. Questi oggetti rappresentano delle immagini-energia che, anche al di fuori delle sedute di psicoterapia,infondono forza e coraggio nell’affrontare la quotidianità.La ricerca di un oggetto rassicurante, sia pure a livello immaginativo, è dunque di aiuto all’uomo lungo il cammino della sua crescita psicologicaDon Luigi crea  da solo e spontaneamente questa teca, che –da vero e proprio oggetto transizionale – lo sostiene in questo momento particolarmente intenso della sua vita, infondendogli coraggio e aiutandolo a trasformare sempre più questa esperienza di sofferenza umana in occasione di crescita psicologica e spirituale.Da ultimo mi sembra di poter affermare che don Luigi diventa, attraverso il suo narrare fatti, emozioni e riflessioni, educatore di grandi e piccoli: la sua esperienza diventa “memoriale” per chi legge  e crea le condizioni per far sentire meglio il lettore con la propria storia grazie  ai  dinamismi ristrutturanti e rigeneranti presenti nel racconto stesso.Da buon educatore, don Luigi sembra riprendere la convinzione espressa da Don Gnocchi nel libro “La pedagogia del dolore innocente” laddove scrive: “la pedagogia cristiana tende anzitutto ad insegnare che il dolore non si deve tenerlo per sé,ma bisogna farne dono agli altri e che il dolore ha un grande potere sul cuore di Dio, di cui bisogna avvalersi a vantaggio di molti”.Sembra che don Luigi abbia veramente voluto farci questo dono, di avvicinarci cioè al cuore di Dio con la consapevolezza che “ogni terapia è solo parziale, la vera guarigione è incontrare Dio” (A. Jodorowsky). 

 

Dottor Giuseppe Fojeni